2000-2003

Cos'è il CNSU

Componenti

Commissioni


Sito Ufficiale

Per informazioni generali e per suggerimenti e proposte
su questo sito web scrivere a:

cnsu@miur.it

 


Home Page

Il Presidente

Articoli e Interviste
Discorsi e Interventi
Curriculum

Discorso - Bologna 31 maggio 2001

CONVEGNO

“VERSO LA RIFORMA DELLA DIDATTICA”

ALMA MATER STUDIORUM

UNIVERSITA’ DI BOLOGNA

Giovedì, 31 Maggio 2001

Intervento di Tommaso Agasisti,
Presidente del Consiglio Nazionale Studenti Universitari

Innanzitutto mi preme ringraziare per l’invito l’Università degli Studi di Bologna, nella figura del Magnifico Rettore Pier Ugo Calzolari e del Prorettore alla Didattica Walter Tega.

UNA PREOCCUPAZIONE GENERALE: Per discutere di Riforma della Didattica, il primo naturale passo è domandarsi cosa sia la didattica in Università, quale la sua natura, quali i suoi obiettivi. La didattica in Università ha una caratteristica che la contraddistingue nettamente dalla formazione superiore, e cioè il suo rivolgersi a persone oramai mature, che vogliono approfondire ciò che loro piace e interessa, anche in vista della propria futura attività professionale. Scopo della didattica deve dunque essere puntare alla formazione di coscienze critiche, di personalità. Il più grave danno che l’Università potrebbe subire è vedere ridotta questa sua capacità. Non si può barattare la cultura con il nozionismo. Un nota bene: non è sempre detto che preparare professionalmente gli studenti significhi rinunciare ad una formazione improntata su un ampia cultura di base. Penso ad attuali percorsi di studi, come Ingegneria, che ad oggi formano un ottimo ingegnere, molto preparato e quindi ancor più capace di inserirsi in modo deciso nel mondo del lavoro. Il vero problema dunque è cominciare a chiedersi come conciliare queste due esigenze: fornire insegnamenti tipicamente professionalizzanti, senza rinunciare però ad una formazione di stampo più strettamente culturale.

Alla luce di quanto detto mi permetto alcune osservazioni. Non mi sembra che fino ad ora la discussione sia stata a questo livello; a volte invece mi pare di avere riscontrato una tendenza a comporre i nuovi Corsi di Laurea più per i docenti che per gli studenti. Fare un Corso di Laurea per gli studenti significa partire dalle figure professionali che intende creare, ed in relazione a questi decidere gli insegnamenti di base e professionalizzanti da fornire. Questo non è sempre accaduto.

Inoltre non è detto che la strutturazione su un percorso 3 + 2 sia la soluzione che permette meglio di rispondere alle esigenze di cui sopra. Nei prossimi anni si potrebbe anche ripensare a questa formula. Mi è capitato di sentire una battuta molto felice da parte di un appartenente all’Ordine degli Ingegneri: “nelle Facoltà di Ingegneria 3+2 non fa 5”; ovvero, il 3+2 di domani difficilmente sarà equivalente al 5 di oggi. Dico questo per far riflettere su un aspetto. Se è vero che la cosiddetta “modularizzazione” degli insegnamenti comporta molti vantaggi, tra cui la migliore capacità d’apprendimento, non è meno vero che porta con sé un rischio notevole, ovvero quello della perdita del senso unitario degli insegnamenti. E se questo può essere accettato (ma solo da un punto di vista pratico) in un percorso triennale, è assolutamente inaccettabile su un percorso di studi quinquennale. Faccio un esempio: se è vero che un futuro ingegnere junior potrà non conoscere in modo perfetto e completo tutta la Analisi Matematica, non è accettabile che un futuro ingegnere (3+2) debba iniziare a studiare l’Analisi al primo anno, limitatamente alle esigenze di studi del primo triennio, per poi riprendere in mano gli studi della materia nel biennio specialistico. Una frammentazione di questo tipo è evidentemente dannosa e controproducente! Quale soluzione è possibile a questa empasse (realmente osservabile in alcuni RDA)? Una soluzione possibile potrebbe essere quella di prevedere percorsi di studi cosiddetti “in parallelo”, ovvero differenziare i percorsi di chi vuole fare il tre, oppure il tre più due. Tutto questo mantenendo il più possibile una possibilità che la riforma prevede ed è a mio avviso positiva, cioè quella della spendibilità del titolo anche triennale.

A proposito della spendibilità del titolo. Occorre prendere coscienza che esistono differenze sostanziali tra area umanistica, area scientifica, area giuridica, area economica, ecc. Per questo motivo non solo non sarebbe sbagliato pensare a percorsi di studio strutturati diversamente, ma anche a sbocchi sul mondo del lavoro diversificati. Infatti bisogna pensare in particolar modo a che ingresso nel mondo del lavoro avranno i laureati nelle scienze pure, come Lettere, Matematica, Giurisprudenza , dopo solo tre anni. E’ necessario dunque analizzare in modo oggettivo le esigenze del mondo del lavoro e le richieste degli Ordini Professionali. Ancora più importante è poi informare in modo veritiero gli studenti. Nella presentazione delle nuove lauree deve essere scritto in modo esplicito quali professioni permetteranno di fare, e quali no. Non tenere in debito conto le differenze tra aree di studi sarebbe un errore madornale che porterebbe a conseguenze pericolose, come la creazione di laureati triennali che non hanno possibilità reale di spendere il loro titolo. Dato che la lauree triennali sono state istituite, è d’obbligo pensare al loro rapporto col mondo del lavoro; a questo proposito, mi sembra una buona idea pensare a forme di confronto periodico e sistematico tra Ateneo e realtà della produzione e del lavoro su base locale, in modo da poter avere un indice (ovviamente non unico) in base al quale calibrare anno per anno la quantità e la tipologia dell’offerta formativa.

Infine, le riflessioni che seguono nascono dal lavoro di rappresentanza al C.U.N. che mi ha permesso di accedere e conoscere i Regolamenti Didattici fino ad oggi pervenuti al MURST.

 Commissioni Didattiche Paritetiche: dal punto di vista di noi studenti sarebbe opportuno prevedere competenze simili a quelle previste dal RDA di Siena, che permette agli studenti di entrare in merito su tutto ciò che riguarda la didattica. In alternativa, lasciare comunque che gli studenti non dico decidano completamente, ma almeno possano dire la loro in maniera rilevante anche sull’attività didattica. Un Ateneo che nel suo RDA non le preveda in nessuna forma ha e avrà la mia più totale dissociazione e avversità.

Fase di regime transitorio. Innanzitutto un Ateneo prima di assumere una politica di incentivazione al passaggio verso il nuovo sistema, deve considerare tutti gli elementi decisivi di cui sopra. Anche una volta assunto tale indirizzo, deve essere chiaro che questo non deve in alcun modo pregiudicare i diritti degli studenti che intendono rimanere al vecchio sistema. Questo anche nell’ottica del fatto che il mondo del lavoro ha dato chiare (a mio avviso) indicazioni di preferenza dell’attuale titolo e del futuro 3+2. Questo può essere, nel merito, giusto o sbagliato (a mio parere giusto, perché nelle fasi iniziali occorre essere cauti); in ogni caso è un dato oggettivo. In definitiva, non posso tollerare di sentire idee di  provvedimenti del tipo riduzione degli appelli per chi non transita al nuovo, penalizzazione in termini di aule e docenti. Per quanto sia impossibile mantenere in vita due sistemi (vecchio e nuovo) per garantire pienamente i diritti degli studenti del vecchio sistema di  finire senza stravolgimenti, e per quelli del nuovo di poter seguire i corsi riformati, si devono cercare forme di compromesso su tale punto, che risultino essere il più giuste possibile.

Carico Didattico: un altro problema che è emerso con forza è stato quello del carico didattico. Infatti in parecchi casi si è cercato di “comprimere” tutto quello che si faceva nei corsi di 4 – 5 anni nel tre. Questo comporta ovviamente non solo il rischiare una abbassamento qualitativo dell’insegnamento (e quindi dell’apprendimento) ma soprattutto il fatto che il carico didattico dei Corsi sia, nella quasi totalità dei casi, insostenibile. Anche su questo mi permetto una osservazione. Uno degli scopi della riforma è stato quello di abbassare i tempi di laurea. Tuttavia questo dovrebbe significare abbassare i tempi reali di laurea! A me sembra invece che solo la durata legale degli studi sarà abbassata, ma dubito che si potrà ridurre la durata reale sino a che non si metterà mano in modo critico alla didattica, alle sue modalità di svolgimento. Ad esempio, se un vecchio corso di Laurea in Giurisprudenza (non parlo di Bologna), aveva 24 esami in 4 anni, è un paradosso che ne abbia 22 in tre, insegnati allo stesso modo dagli stessi docenti. Sono cose assurde, ma già si cominciano a vedere. Questa è una distorsione provocata dall’aver mal interpretato il cambiamento che era necessario. Insomma, più esami, più inglese, più informatica, più stage non si fanno senza una idea chiara e nuova della didattica: dobbiamo smettere di illuderci! A volte mi sembra che si vogliano cambiare le cose senza rendersi conto che occorrono idee e strumenti nuove. E a queste dovrà pensarci sicuramente il Ministro del futuro Governo, ma anche e soprattutto i Rettori e poi i Presidi, nello spirito di una reale Autonomia, che punti a creare corsi di livello, capaci di farsi una concorrenza leale e virtuosa, mirata cioè all’innalzamento della qualità. In questo senso si potrebbero ipotizzare aperture nei decreti attuativi del 509/99, riformulandoli in modo da consentire più libertà nella scelta della durata, dei contenuti, e dei metodi di insegnamento.

Presenza studentesca. Ultimo aspetto che mi permetto di sottolineare. La riforma prevede che ci possa essere attribuzione di crediti formativi anche ad attività extra - universitarie. Su questo sarò sintetico e schietto. A mio avviso questa è una possibilità ottima per due motivi. Il primo è che in questo modo lo studente può costruirsi una formazione più aperta, se l’attribuzione dei crediti a tal fine non sia troppo bassa (o troppo alta…). L’altro aspetto è che veramente si potrebbe ipotizzare che anche attività svolte da associazioni e cooperative studentesche, con finalità mutualistiche (cioè di servizio), culturali e ricreative possano essere riconosciute come idonee a dare crediti formativi. Penso in particolar modo a tante iniziative di tutorato e orientamento, nate come tentativo di risposta alle esigenze degli studenti, da parte di altri studenti, e che ora non sono incentivate, “perché dovrebbero farle l’istituzione Università”. Penso anche alle altre iniziative culturali e ricreative, incontri, convegni, stage, job fair, che gli studenti già da anni portano avanti, in parecchi casi, in modo assolutamente valido e costante. Per questo invito tutti i Rettori tramite il Presidente Modica a riflettere su una formulazione come quella che Bologna ha inserito nel suo RDA.

Grazie.