INAUGURAZIONE
DELL’ANNO ACCADEMICO UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VENEZIA Ca’ FOSCARI
Venezia,
Lunedì 22 Ottobre
Intervento
di Tommaso Agasisti,
Presidente del Consiglio Nazionale Studenti Universitari
Ringrazio
anzitutto il Magnifico Rettore dell’Università di Venezia prof.
Maurizio Rispoli per avermi dato la possibilità di parlare oggi, ed
insieme tutto il corpo accademico ed i rappresentanti degli studenti.
Con la mia
relazione vorrei provare ad entrare in merito ad alcuni aspetti del
cambiamento che in queste settimane si sta affermando nel nostro sistema
universitario.
Ritengo che il
punto di partenza per fare una riflessione sia l’evidenza che la nostra
Università aveva, ed ha, bisogno di respirare aria nuova. In questo senso
sono soddisfatto che il Ministro non abbia fermato il processo riformatore
in atto. Processo che condivido su certi aspetti ed obiettivi che si pone,
ma che ritengo altresì criticabile per tanti versi e da correggere in
alcuni suoi elementi. Tuttavia non si può non riconoscere un merito a
questa riforma: aver dato vita ad una discussione, anche pubblica, sul
tema della formazione Universitaria. Finalmente è stata data voce a
chi sente il bisogno di interrogarsi sul ruolo dell’Università nella
società e nella cultura d’oggi.
L’aspetto
che sin dall’inizio della progettazione di questa riforma mi ha
interrogato è stato proprio la preoccupazione culturale sul futuro
dell’Università. Questa istituzione ha, infatti, sin dalla sua origine
lo scopo d’essere luogo di trasmissione dell’alto sapere;
l’evoluzione delle tecnologie e delle tecniche non ha certo fatto venire
meno questo ruolo inscindibile dalla natura stessa dell’Università, ma
lo ha anzi reso ancor più necessario. Oggi occorre dunque aver presente
che il soggetto dell’Università, il suo protagonista, è lo studente,
la persona dello studente, la sua formazione, ma soprattutto la sua
crescita. Non potremo dunque mai condividere i tentativi di ridurre
l’istituzione universitaria ad una raccolta di nozioni da diffondere tra
gli utenti di un servizio; non ci interessa un’Università che non abbia
a cuore lo sviluppo integrale della persona. In questo momento particolare
della storia dell’Università dobbiamo sventare questo rischio. E
affermare questo non è appena uno slogan ideale: senza studenti, infatti,
non esisterebbe Università, e senza giovani non esisterebbe il futuro.
D’altro
canto, gli obiettivi che questa riforma si pone non possono che essere
condivisi, così come gli obiettivi che il Ministro ha messo al centro
della sua azione di Governo: riduzione dei tempi necessari per la laurea;
diminuire il numero degli abbandoni, creare maggiori e migliori
connessioni con il mondo del lavoro. Vorrei però brevemente esporre
qualche problematica che in queste settimane si sta evidenziando a
riguardo.
Primo aspetto:
non è detto che la riduzione degli anni teorici necessari a conseguire la
laurea sia sufficiente a garantire una reale riduzione del tempo di
laurea. Si pone cioè il problema della “sostenibilità” dei carichi
dei programmi di studio. Occorre un reale ripensamento di tutta la
didattica. Occorre commisurare i programmi e le modalità d’insegnamento
alla durata triennale o quinquennale dei corsi. Sarebbe astratto pensare
di poter insegnare tutto ciò che era svolto in quattro o cinque anni in
soli tre. Credo che sia opportuno che i docenti, fissando precisi
obiettivi, operino scelte mirate, decisioni precise sui contenuti, in
conformità con gli obiettivi formativi specifici dei corsi di laurea. In
alternativa, la conseguenza sarebbe solamente quella di far gravare sugli
studenti una mole di contenuti assolutamente non acquisibile se non sotto
forma di nozioni. Ma come già accennato, l’insegnamento universitario
non è appena questo, ma acquisizione di metodi ed esperienze,
ragionamenti. A cosa gioverebbe, infatti, conoscere teoremi matematici
senza conoscerne i procedimenti, o conoscere la vita e le opere di un
autore senza aver cognizione della situazione storica, politica e sociale
del tempo? Un’osservazione: in questa tentata rivoluzione della
didattica è stato importante, fino ad ora, coinvolgere gli studenti, ad
esempio tramite le Commissioni Didattiche Paritetiche. Mi auguro che anche
nei prossimi mesi si realizzi questa collaborazione, e gli studenti non
siano lasciati ai margini di questo processo “in itinere”.
Secondo
aspetto: uno dei gravi problemi che hanno accompagnato la riforma sin dal
suo nascere è stato che il raccordo con il mondo delle professioni è
avvenuto solamente alla fine del processo, dopo che già era stata
definita l’architettura del nuovo sistema. Ora occorre rimediare a
questa sorta di “procedimento inverso”: inverso perché sarebbe stato
opportuno interpellare preventivamente il mondo del lavoro, ascoltarne le
esigenze, tenendone conto nel riformare il sistema. Credo che ora sia
necessario essere più attenti in questa direzione. Un esempio: occorre
comunicare informazioni chiare a noi studenti affinché chi s’iscrive ad
un determinato corso di studi sappia che figura professionale si avvia a
diventare. Lo studente deve poter sapere quali sbocchi professionali potrà
avere, e quali invece gli saranno negati. Questa buona pratica sarà anche
una risposta al pericoloso proliferare dei corsi; non è tollerabile ad
esempio che esistano corsi di laurea che non danno questi requisiti di
certezza informativa, minimi ma veramente indispensabili perché le scelte
degli studenti siano sufficientemente coerenti e ragionate.
Terzo aspetto:
allo scopo di diminuire il numero d’abbandoni occorre seguire gli
studenti, e rendere finalmente concrete quelle attività d’orientamento
e tutorato che sarebbero sostegno effettivo nel percorso di studi. Le
Università devono percepire questa come una propria responsabilità,
mirata al bene degli studenti, e dunque al bene di se stesse e della
società tutta. Queste pratiche, diventate obbligatorie tramite la 509/99,
sono state di fatto inventate da noi studenti. Ecco perché in questo
campo occorre anche riconoscere il grande ruolo che in tanti casi svolgono
le associazioni studentesche. Questa forma di presenza studentesca con
finalità mutualistica sa spesso offrire grande aiuto agli studenti, nelle
loro scelte (si veda ad esempio l’attività d’informazione che esse
svolgono in questo momento di transizione) e durante il loro percorso di
studi (si vedano le molteplici esperienze di gruppi di studio, convivenze
guidate di studio, stage con la partecipazione di docenti). Che le
Università valorizzino sempre più questa collaborazione tra studenti ed
istituzione, sarebbe un esempio concreto di cosa significhi mettere al
centro dell’attività universitaria gli studenti.
Ultimo, ma non
per importanza, è il problema dei finanziamenti. Per rendere possibili
reali cambiamenti occorre investire risorse economiche. Ed investire
risorse significa un impegno del Governo ad incrementare – ora e nel
futuro - i fondi destinati agli Atenei, al diritto allo studio,
all’edilizia universitaria, alla ricerca. Ma significa anche che gli
Atenei, nella loro autonomia, inventino forme nuove ed efficaci
d’autofinanziamento. Penso alla possibilità per enti esterni di entrare
nella vita dell’Università con finanziamenti su specifici campi
d’azione e perseguendo determinati obiettivi: penso allora alle Regioni,
alle Province, ad enti Pubblici e Privati, a Fondazioni, ad Associazioni,
ad imprese, ecc. Non possono rimanere le tasse degli studenti l’unica
fonte di sostentamento degli Atenei!
Vorrei infine
segnalare alcune tematiche più particolari che in ogni modo,
all’interno del processo riformatore, non possono essere messe in
secondo piano.
In primo
luogo, ci stiamo avvicinando al momento in cui dovranno essere redatte ed
analizzate le nuove lauree specialistiche. Sarà questo un momento di
straordinaria importanza, in cui a mio avviso sarà decisivo un elemento:
la capacità di saper raccordare i due anni di specializzazione con i
percorsi triennali istituiti. Se è vero, infatti, che le lauree triennali
dovranno saper garantire, in qualche modo, un’uscita in direzione del
mondo del lavoro con un’adeguata spendibilità in esso, è altrettanto
vero che non si può prescindere dalla visione d’insieme dei percorsi
formativi. Per questo non sarei contrario alla possibilità di prevedere
per il futuro percorsi di primo livello differenti per gli studenti che
hanno intenzione di fermarsi dopo un percorso di studi triennale e per
quelli che sin dall’inizio ambiscono ad un titolo di studio
specialistico. E questo non a discapito del valore della laurea
triennale, ma al contrario per operare una netta distinzione di competenze
fornite dai corsi che permetta ad entrambi i livelli di avere una propria
posizione sul mondo del lavoro.
Un altro
aspetto di cruciale importanza è quello della formazione degli
insegnanti. Ad oggi in tale campo regna ancora la confusione. La struttura
delle Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario è tale
da scoraggiare coloro che vorrebbero intraprendere tale strada. Eppure è
importante avere a cuore il futuro dei giovani, sapendo loro garantire la
presenza d’insegnanti qualificati. Per questo non si può prevedere che
gli insegnanti debbano essere formati in percorsi di studi incerti, e
lunghi troppi anni. Occorre dare certezze ed incoraggiare gli studenti che
hanno intenzione di prendere la via dell’insegnamento. La situazione
attuale non garantisce questo; per tale motivo gli sforzi sia a livello
locale sia nazionale devono essere tesi anche a questo scopo.
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